Viaggiare
in pullman sulla lunga distanza mi piace. Se non devo farlo di notte. Mi piace
stare vicino al finestrino per guardare fuori o poggiare la testa sul vetro
quando m'addormento. Soprattutto mi piace osservare scorrere il paesaggio
mentre io me ne sto rannicchiata tra i miei pensieri liberi ad ascoltare la mia
musica.
Il tragitto in pullman diventa il viaggio in sé; le strade che
percorro danno significato al movimento. Non si tratta di dislocamenti
immediati, che durano lo spazio di poche ore in ambienti asettici e tutti
uguali, come gli aerei o gli aeroporti, che all’improvviso mi trovo da un’altra
parte, completamente diversa da quella da cui sono partita. Le trasformazioni graduali del paesaggio indicano l’essenza del cambiare luogo; il trascorrere lento del
tempo racchiude il senso del passaggio da uno spazio a un altro.
Io
non devo far nulla se non lasciarmi condurre; il corpo abbandonato a un fervido
osservare, ascoltare, scorrere. Le urgenze del quotidiano vivere lasciano il
posto alle necessità della mente, quelle che spesso si agitano nell’inconscio o
trovano spazio nei sogni. Mi racconto storie che non ascolterà mai nessun altro
all’infuori di me; mi perdo tra le linee e i colori che si snodano oltre il
finestrino e mi ritrovo nell’immobilità fittizia di un orizzonte in fuga.
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