giovedì 29 marzo 2012

Dell'aprire e chiudere parentesi

Aperta parentesi.
Riempio la vasca. Sciolgo i sali da bagno che ho preparato io stessa. 
Il profumo delle spezie si sprigiona in tutta la sua freschezza. 
Cardamomo, cannella e coriandolo. 
M'immergo. 
La musica che mi raggiunge dall'altra stanza è un'onda lieve. 
Chiudo gli occhi. 
Mi dimentico del resto. 
Chiusa parentesi.




martedì 20 marzo 2012

Della giostra impazzita

Certi ritmi sono innaturali. Non mi piacciono e mi fanno male. Il corpo è stanco. Si trascina senza energia, senza entusiasmo. La mente stenta a sollevarsi oltre il tangibile contingente. 
Il lavoro, dice. Ma è giusto che il lavoro diventi totalizzante e arrivi al punto di sostituirsi alla vita stessa? O non è fatta, piuttosto, la vita, di tante piccole cose e non occupa, ognuna di esse, il suo posto e la sua importanza nell'esistenza di ognuno di noi? Non è altrettanto importante il riposo, lo spazio da dedicare a se stessi? Lo spazio e il tempo per non far nulla se non "star stesi sotto un albero a guardare le nuvole"; lo spazio e il tempo per raccogliersi in un angolo comodo e silenzioso ad ascoltare musica o leggere un libro; lo spazio e il tempo per guardare negli occhi le persone alle quali vogliamo bene, senza fretta, senza ansia.
Invece c'è sempre qualcosa da fare, un impegno improrogabile, una necessità apparente a trascinarci lontano da noi. E sento il malessere che mi cresce dentro. Perché trovo che questo nostro modo di vivere sia maledettamente sbagliato. 
Non solo. Come possiamo dedicarci veramente al nostro lavoro e farlo bene se siamo insoddisfatti, se ci sembra che ci manchi l'aria per respirare?
Ma la macchina sociale contemporanea, votata all'iperproduttivà e all'iperattività cieche e senza senso, non prevede soste salvifiche. Come nelle marce forzate dei deportati, chi non ce la fa, muore. Una nuova legge della giungla. Solo che questa giungla non ha niente di naturale e, al termine della marcia forzata, non ci sono premi, non c'è vita. C'è un campo di concentramento che, al suo ingresso, reca l'insegna Arbeit macht frei. E, dopo quello, più niente.
*
Primo anno di università a Bari. Facoltà di Lingue e Letterature Straniere. Il palazzo dov'era ubicata la facoltà era reduce dall'occupazione studentesca dell'anno prima. Il professor Vitilio Masiello stava terminando la sua lezione di Lingua e Letteratura Italiana I (corso monografico su Luigi Pirandello). Aula Belfast (così era stata ribattezzata l'aula A dal movimento della Pantera). I corsi stavano per terminare. Sarà stato alla fine di aprile o all'inizio di maggio. L'aula era gremita fino a scoppiare, come al solito. Le lezioni del professor Masiello erano affascinanti, la sua capacità oratoria impareggiabile. Gli studenti occupavano ogni spazio disponibile (in barba a ogni regola sulla sicurezza). Molti erano seduti per terra, altri si erano arrampicati sul davanzale dei finestroni in fondo all'aula. Io ero strizzata tra un mio amico, collega di corso, e un altro sconosciuto, in uno degli ultimi banchi.
Il professor Masiello ci stava comunicando le date degli appelli d'esame. Il pre-appello era a fine maggio. Mancava davvero poco. Il professore ci disse che avrebbe gradito che ci fosse un buon numero di candidati già in pre-appello. Poi cominciò un discorso che aveva a che fare con l'esame e l'università. Ma non solo. Per me, andò decisamente oltre. 
Il professor Masiello ci disse più o meno così: "Preparatevi per l'esame ma non studiate troppo. Studiate ma non perdete troppo tempo sui libri ché il tempo da non perdere, quello veramente importante, è un altro: è il tempo da dedicare a voi stessi, il tempo per star stesi sotto un albero a guardare le nuvole e a pensare ai fatti vostri. Ci sono delle cose che dobbiamo fare, certo. Ognuno di noi ha i suoi impegni. Ma non sono quelle le cose importanti. Sembrano importanti ma, in fondo, anche se non le facciamo subito, il tempo per fare queste cose, prima o poi, lo si trova. Io, per esempio, ho gli editori che mi stanno addosso. Il libro deve essere pubblicato, ci sono scadenze da rispettare... ma non è importante! Il tempo veramente importante è quello da dedicare a se stessi perché quello, una volta passato, non ritorna. Una volta andato, è perso per sempre. Certo, pagherete per le cose che dovevate fare e non avete fatto. Ci sono delle conseguenze. Gli editori me la faranno pagare se non consegno il libro in tempo. Se voi venite all'esame e non siete preparati, io ve la farò pagare ma... non importa! L'importante è che non perdiate il tempo per voi!"
Quando il professore disse questa cosa dell'esame e che ce l'avrebbe fatta pagare se fossimo stati impreparati, scatenò l'ilarità generale in aula. Ci fu un gran baccano. Ridevano tutti. Credo di essere stata l'unica a non ridere. Quello che il professor Masiello aveva appena fatto era il discorso più sensato, più appassionato e più onesto che avessi mai sentito fare da un adulto fino a quel momento. Ero commossa. Avevo letteralmente le lacrime agli occhi. Quando gli altri si misero a ridere, per me fu come risvegliarmi da uno stato di trance. Ero spiazzata. Mi chiedevo cosa ci fosse di tanto divertente. A me sembrava una faccenda serissima. Così seria che quel consiglio spassionato è diventato uno dei pilastri di tutta la mia esistenza. Non perdere il tempo da dedicare a me stessa. Non perderlo perché, una volta perso, non ritorna. Non perderlo perché è quello che conta davvero. 
Perciò continuerò a pagare a questa giostra impazzita sulla quale siamo saliti tutti (o quasi) quello che c'è da pagare per poter scendere, almeno una volta ogni tanto, e andare a stendermi sotto un albero a guardare le nuvole.