mercoledì 19 dicembre 2012

Dell'intangibile

Mi circonda un silenzio che non è silenzio perché intorno c'è un rumore diffuso. Ma lo percepisco come silenzio. Più che altro, è una distanza, uno spazio delimitato da un'assenza di relazioni. Nessuno mi conosce. Io non conosco nessuno. Non ho motivo di rivolgere la parola a nessuno. Nessuno ha motivo di rivolgere la parola a me. Mi sento invisibile. L'invisibilità dell'anonimato in un luogo estraneo. L'invisibilità dell'ordinario. 
Così nascosta, osservo indisturbata. Sembro una passante qualunque che cammina immersa nei suoi pensieri, presa dai suoi impegni. Invece io non penso a niente, non ho impegni, non ho fretta. Semplicemente, osservo.

Prima di arrivare a Roma, nello shuttle dall'aeroporto, la condizione ideale.
Crepuscolo. Poi, buio. Le luci nel bus spente. Roma che scorre oltre il finestrino come un film senza voce. Ma non muto. Le voci degli altri passeggeri sono sussurri soffici, riservati. Le ombre mi avvolgono. Scorro insieme al paesaggio fuori. Senza volontà, senza necessità di prendere decisioni, fosse anche solo quella di muovere i miei passi in una direzione precisa. Provo a sentire le vite degli altri. Immagino. Invento. Sento. Il corpo abbandonato in un libero fluire. È una sensazione meravigliosa, quasi commovente.
Entrare in contatto con l'intangibile. Questo è.

*

Per pochi giorni la linea dell'orizzonte s'è spostata di nuovo oltre il limite ordinario del possibile. Lo spazio intorno si è riempito, di nuovo, di richiami e affascinanti alternative all'apparente univocità del quotidiano. I fantasmi del passato si mescolano ai sorrisi e agli occhi di amici e passanti. Sono gonfia di vita. Mi moltiplico, il mio contorno si sfalda, i pensieri si rovesciano nell'aria, la mente respira profondamente. 
E m'innamoro. Un'altra volta. 
Che poi è la condizione essenziale del viaggiare: mettere da parte la paura e lasciarsi travolgere dall'amore.

Santa Maria in Trastevere, Roma

giovedì 13 dicembre 2012

Della strada più lunga

Ci sono almeno due strade che posso percorrere in auto per andare al lavoro: una è più lunga, più tortuosa e più lenta; l'altra è più corta, lineare e rapida. Le ho provate entrambe e, alla fine, nonostante tutti mi abbiano più volte ripetuto che la seconda è meglio, io continuo a prendere la prima. Perché? Perché è più bella. E meno trafficata. Ma, soprattutto, è più bella. Devo uscire un po' prima di casa per evitare di accumulare ritardo ma... che meraviglia quel tratto fino a Laureto! Le trasformazioni della campagna di stagione in stagione sono sempre straordinarie, nonostante si ripetano uguali e costanti ogni anno, ogni ciclo, senza interruzione.
Oggi, poi, dopo la gelata della notte, con il sole che faceva splendere la brina con la sua luce morbida del primo mattino, sembrava un paesaggio da fiaba. Procedevo piano a causa del ghiaccio e di un paio di automobilisti decisamente più cauti di me che mi stavano davanti. Si stava facendo tardi ma i campi imbiancati, gli alberi, i muretti a secco, i trulli, il cielo azzurro, il ghiaccio luminoso mi cantavano tutti insieme: "Ma che t'importa?" E io rispondevo con un sorriso: "Niente. Non m'importa niente." E poi sono arrivata sulla strada principale e, dopo un paio di curve, lontano, all'orizzonte, il mare blu blu blu. 

Dico, ma, voi, vi rendete conto di quant'è bello il mondo?


venerdì 7 dicembre 2012

Della necessità di ritrovare l'equilibrio

Non è un bel periodo. Sono inquieta. E arrabbiata. Chiudo la pagina del mio browser e resto a fissare un attimo la foto sul desktop del mio computer. È una foto che ho scattato l'estate scorsa ma mi sembra tanto tempo fa. 
Il mio viaggio solitario negli States. Il traghetto per Ellis Island. 


Appunti sul mio taccuino. Boston. Niente sembra più essere abbastanza. E tutto sembra finto, privo di sostanza, se non le piccole cose, gli attimi imprevedibili, gli incontri casuali, gli incidenti di percorso. L'uomo che fa taiji nel parco, la donna sconosciuta che mi saluta con un sorriso, i due uomini con un bambino e un passeggino, il ragazzo che canta e suona la chitarra sul ponte, il cigno che cova nel suo nido al bordo del laghetto, il passero che mi si è avvicinato saltellando e si è fermato a guardarmi di traverso, il clic della mia macchina fotografica, il silenzio dentro il quale attraverso il vuoto per arrivare a toccare l'essenza delle cose sull'altra riva del tempo. 

L'ultima notte a Manhattan in cima all'Empire State building. Poggio il viso contro la rete metallica facendo sparire le trame di ferro dalla mia visuale. Oltre, c'è il vuoto. Oltre, c'è la distesa di luci in movimento di New York. Le voci sussurrate dei turisti alle mie spalle sono un'intercapedine sonora che mi isola ancora di più oltre la rete di protezione, nel vuoto notturno sopra la metropoli. Sono sospesa nel nulla. Sono sola ma non mi sento sola. Sono felice. L'equilibrio è nel vuoto, nel silenzio, nell'assenza.

O in una canzone che, stranamente, racchiude l'essenza di quel viaggio. Questa.



Riportatemi là.