All’inizio del nostro percorso di studi universitari noi
non sapevamo ancora di voler fare le insegnanti d’inglese. Semplicemente, con la
nostra formazione e le competenze linguistiche che abbiamo maturato nel tempo, in
Italia e all’estero, a un certo punto, c’è sembrata la scelta più ovvia. Niente
più concorsoni per noi, però. L’ultimo risale al 1999. Dieci anni fa, quindi,
l’unica strada percorribile per l’abilitazione all’insegnamento era la Scuola
di Specializzazione all’Insegnamento Secondario, la SSIS, ovvero la
naturale evoluzione dei concorsi, voluta dai precedenti governi per svecchiare le
consuete procedure di formazione e assunzione nella scuola (leggi, il concorso),
in ottemperanza a quanto stabilito dagli accordi di Lisbona del 1989, validi
per tutta l’Unione Europea. Due anni di corsi
universitari, puntellati di lezioni ed esami, 300 ore di tirocinio, relazione finale
ed esami, scritti e orali. Due anni pagati profumatamente alle università che,
per ben 9 cicli, hanno trovato nella SSIS la gallina dalle uova d’oro. Già
allora si diceva che i posti disponibili per i corsi erano in relazione alla
reale necessità della scuola italiana. Evidentemente si affermava il falso se, dieci
anni dopo, noi siamo ancora qui a ingrossare le fila del precariato scolastico.
Ma siamo abilitate, con un esame che ha, è bene ricordarlo, “ai
sensi del decreto legge 28 agosto 2000 n. 240 […] valore di prova concorsuale ai fini dell’inserimento nelle
graduatorie permanenti [oggi, GaE]”.
Abbiamo cominciato a lavorare con supplenze temporanee
o incarichi a tempo determinato (i contratti annuali, per intenderci, di quelli
che cominci a lavorare a settembre e alla fine di giugno non vai in vacanza,
come crede il Ministro Profumo, ma vai a fare la disoccupata per un paio di
mesi). Abbiamo scoperto che il lavoro che abbiamo scelto di fare ci piace e ci
riesce anche discretamente bene. Non siamo noi a dirlo. Ce lo dicono le
famiglie e gli studenti che sperano di vederci tornare l’anno scolastico
successivo e invece ci vedono migrare in un’altra scuola per soddisfare un
meccanismo di reclutamento così complesso e farraginoso che spiegare come
funziona a uno che nella scuola c’ha messo piede solo da studente è un’impresa
decisamente ardua.
Dieci anni così. Dieci anni ad aspettare di poter
svolgere il nostro lavoro con una certa continuità didattica (un concetto che
non sembra avere più nessun peso nella scuola-azienda del futuro) e con la
tanto agognata stabilità contrattuale. Dieci anni che ci hanno fatto crescere
professionalmente e umanamente, nonostante le condizioni di lavoro spesso
disagevoli. Dieci anni durante i quali avremmo voluto fare di più, dare di più,
se solo ce lo avessero concesso. Dieci anni a scalare una graduatoria che, nel
corso del tempo, ha subìto diversi stravolgimenti dovuti alle rampanti
intuizioni di ministri spavaldi e spesso incompetenti, mischiando ogni volta le
carte, facendo saltare diritti acquisiti o, almeno, condizioni che sembravano consolidate.
Se insegnassimo in un altro qualsiasi paese europeo, sarebbe bastato essere
impiegate con contratto a tempo determinato nella scuola per 3 anni consecutivi per passare
di diritto a lavorarci a tempo indeterminato. L’Italia, però, da
questo punto di vista, preferisce non uniformarsi all’Unione Europea.
E arriviamo al presente. È da
qualche giorno che TG e giornali sbandierano con clamore ed entusiasmo
l’imminente concorso per l’immissione in ruolo di 11.892 insegnanti
nella scuola pubblica. La panacea al male del precariato, l’ingresso di docenti
“giovani, preparati e meritevoli” nella scuola italiana. E già questo ci fa un
po’ arrabbiare. Anzi, ci fa molto arrabbiare. Perché, automaticamente, noi
inseriti nelle GaE (Graduatorie a Esaurimento), diventiamo, per opposizione,
“vecchi, incompetenti e non meritevoli”.
Ma
andiamo oltre.
Forse
non tutti sanno che questi giovani fenomenali di cui il Ministro Profumo tanto
parla, non potranno partecipare affatto al concorso in questione. Infatti, stando
alle norme in vigore, i requisiti per l’accesso al concorso sono i seguenti:
•
Possono partecipare ai concorsi coloro che siano in possesso dell'abilitazione
(Art. 1) – [conseguita, quindi, grazie ad
un corso SSIS o all’ultimo concorso del ’99, cioè ottenuta tramite prova
concorsuale.]
•
Possono partecipare anche docenti in possesso del solo titolo di laurea, purché
conseguito entro il 2001/02 per corsi quadriennali, 2002/03 per i corsi
quinquennali e 2003/04 per i corsi esaennali – [si tratta, quindi, di candidati che, facendo un po’ di calcoli, non
avranno sicuramente meno di 30 anni.]
•
Possono partecipare anche i soli diplomati (ISEF, Conservatori, Accademie)
purché i diplomi siano conseguiti entro l'anno in cui si conclude il periodo
prescritto dal relativo piano di studi a decorrere dall'anno accademico 1998/99
(DI 460/98 Art. 2)-[ idem come al punto
precedente.]
•
Possono partecipare anche i docenti non in possesso dell'abilitazione, qualora
non ci fosse un numero sufficiente di abilitati (3 volte i posti disponibili)
(art. 4) – [ipotesi fantascientifica per
la maggior parte delle classi di insegnamento.]
Detto
questo, che sembrerebbe già sufficiente a chiarire la beffa, si aggiunga che le
famigerate Graduatorie a Esaurimento sono piene zeppe di insegnanti abilitati,
plurititolati, già valutati e con diversi anni di esperienza nella scuola
pubblica alle spalle e, quindi, proprio per questo, non più tanto giovani
(anagraficamente!). Nella graduatoria della nostra classe di concorso, nella
nostra sola provincia di appartenenza, per esempio, ci sono oltre 300 persone regolarmente
abilitate all’insegnamento per una dozzina di posti disponibili ogni anno.
A
questo punto, le contraddizioni sono evidenti: i “giovani” non possono accedere
al concorso e quelli invecchiati nelle GaE non possono essere stabilizzati e,
soprattutto, i cosiddetti precari storici (alla fine, i principali destinatari
di questo concorso) sono già abilitati e idonei all’insegnamento.
Perché dovrebbero sostenere una prova che hanno già sostenuto e superato, prova
peraltro più complessa e articolata di questo “innovativo” concorso?
E
non finisce qua. Quest’anno saranno avviati anche i TFA (Tirocinio Formativo
Attivo), ossia delle SSIS in miniatura che, nel giro di un anno (anziché i due
previsti dalle SSIS), abiliteranno altri insegnanti.
Ma
dove andranno tutti questi insegnanti? Che ce ne facciamo, Ministro Profumo, di
tutti questi insegnanti: giovani, vecchi, abilitati, laureati, specializzati, perfezionati,
entusiasti, amareggiati, meritevoli, poco meritevoli, competenti, incapaci,
preparati, poliglotti, tecnologizzati, informatizzati, intraprendenti e,
soprattutto, esasperati? Dove li mettiamo, ché i posti disponibili nella scuola
sono così pochi che ci sono persino insegnanti in esubero utilizzati su classi
di concorso differenti dalla propria o mandati a ricoprire incarichi
amministrativi? Dove li mandiamo, ché i docenti sicuri di andare in pensione in
questi anni sono stati “trattenuti” in servizio e non hanno più né la voglia,
né la forza di restare là? Dove li facciamo lavorare questi fantastici illusi,
ché le classi diminuiscono mentre il numero di alunni per classe aumenta ogni
anno (in spregio alla qualità dell’insegnamento)?
Questo
sarà il nostro decimo anno di precariato e il nostro futuro professionale è
sempre più incerto, in barba a quella posizione ai “vertici della classifica”
che siamo riuscite a guadagnare in questi anni. Il suo brillante concorso, noi,
Signor Ministro, non lo faremo, ma siamo pronte, come ogni anno, a ricominciare
da capo, in un’altra scuola, con altri studenti e altri colleghi, a dover
dimostrare di nuovo quanto valiamo e quello di cui siamo capaci, noi vecchie e,
perciò, incompetenti e poco meritevoli. Non è semplice e non è bello. Alla
lunga, è un processo logorante. Eppure speriamo di riuscire a entrare in classe
anche quest’anno. Ché la scuola vera finora l’abbiamo fatta funzionare noi, nonostante
le vostre porcherie!
Graziana
Giotta (40 anni)
Maria
Mastropierro (34 anni)
Docenti
precarie di lingua inglese dal 2003
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