giovedì 22 dicembre 2011

Appunti delle prime ore

Fine estate - inizio autunno.
Esco di casa prima che sorga il sole e m'incammino nel blu silenzioso delle strade ancora addormentate. È piacevole. Sollevo istintivamente gli occhi al cielo e mi lascio baciare dalle stelle. L'aria è dolce, profumata, come piena di sussurri magici. Il mio corpo è sciolto, riposato. Mi dirigo sorridendo verso la stazione.
Inverno. 
Esco di casa prima che sorga il sole ed è buio come quando sono andata a dormire la sera prima. Fa freddo. Tengo la testa china, il mento verso il petto, in un gesto istintivo per trattenere il calore del mio corpo teso e stanco, per proteggermi dal freddo. Cammino in fretta per raggiungere al più presto la stazione mentre suoni cupi mi fanno venire voglia di tornare indietro, di scivolare un'altra volta nel mio letto caldo.

L'inverno sarebbe più sopportabile, perfino piacevole, se potessi rallentare un poco i miei ritmi anch'io, come il resto del mondo naturale. Se solo potessi dormire di più, uscire di meno, raccogliermi attorno al mio corpo infreddolito e fare silenzio intorno! Insomma, se solo potessi andarmene un po' in letargo anch'io, l'inverno potrebbe diventare una bella stagione.

*
Gli odori che mi uccidono a prima mattina, quando l'aria è più pulita e il mio olfatto più sensibile:

1. la puzza velenosa dei gas di scarico delle automobili e, ancora di più, dei furgoni e dei camion. Mi strozza il respiro in gola e mi sembra di soffocare;

2. la puzza di bruciato delle sigarette di chi fuma convulsamente mentre mi cammina davanti per strada. Mi stringe lo stomaco e mi fa venire da vomitare;

3. il "profumo" nauseabondo della signora bionda che scende alla mia fermata e che cammina come una bambola a molla; un'essenza floreale così dolce da far venire la carie ai denti per via olfattiva. Non riesco mai a starle davanti e facciamo lo stesso tragitto per un bel pezzo. Cerco di sottrarmi alla sua scia che odora di cimitero appassito spostandomi a destra, poi a sinistra... ma non ci riesco. Allora rallento... rallento... rallento, nella speranza che il tanfo svanisca. Ma è un odore forte e persistente. L'unica mia fortuna è che non viaggiamo insieme tutti i giorni.

martedì 6 dicembre 2011

Le verità del dormiveglia

Cominciare a parlare senza quasi rendersene conto.
Nonostante il sonno, le parole fluiscono senza esitazione e, mentre le dico, mi sorprendo. Sto raccontando pensieri che mi porto appresso da tanto e che non avevo detto mai.
Paura di perdere quel poco che si ha.
In fondo, si tratta solo di paura.
*
Via la scenografia inutile. Ho bisogno di un palco vuoto. Anzi, di un teatro vuoto. Ho bisogno di silenzio. Ho bisogno di fare il vuoto dentro. Bisogna mandar via la stanchezza, ché quella avvelena il sangue e i pensieri. 
*
Quello che chiamano progresso puzza di condanna a morte. La condanna a morte di un intero pianeta. Siamo diventati schiavi delle nostre comodità, altro che progresso. Non avvertiamo più il rumore costante che produciamo, la puzza delle nostre società non ci fa più arricciare il naso, abbiamo dimenticato la luce delle stelle. Ci crediamo importanti; più importanti di un albero o di un sasso; più importanti del mare e dell'aria; più importanti della terra. Ma mentre noi transitiamo velocemente in questa dimensione, il sasso, il mare, l'aria e la terra restano. Chi è più importante, allora?
Cerco di scrollarmi di dosso le regole idiote degli uomini contemporanei e delle loro mode per andare a cercare quelle immutabili del mondo. 
Per trovare il mio equilibrio.
*
Nel sonno mi sciolgo. Il silenzio della notte è una carezza. Il corpo riposa. La mente non dorme ma si riposa anche lei: si libera, sogna.
Sogna.

venerdì 2 dicembre 2011

Sarti

In treno Eligio cuce. Cuce la fodera interna di una giacca da uomo. Lo osservo affascinata e mi torna in mente mia nonna. Era sarta anche lei. Da bambina, mi piaceva starla a guardare mentre cuciva. Per tagliare la stoffa usava un lungo bastone piatto di legno con una delle due punte un po' bruciacchiata e un paio di forbicione pesanti di metallo scuro. Aveva anche una vecchia macchina da cucire Singer. La teneva sotto la finestra della sala da pranzo. Quando non l'usava, e se il filo da cucito non era infilato, mi ci mettevo a giocare. Mi divertiva pestare il piede sul pedale e far girare con la mano la ruota che fa muovere l'ago. Mi piaceva il suono che faceva, ratatatatatatatà!
Le mie zie e mio padre - gli abiti sono opera di mia nonna.
Mia nonna cuciva anche per me e per mia sorella. Quando mi prendeva le misure con il suo metro da sarto erano attimi di completa beatitudine: il tocco leggero delle sue mani che facevano scorrere il nastro giallo e azzurro sul mio corpo, il silenzio della sala da pranzo, i numeri che scribacchiava su un pezzo di carta, il tic toc dell'orologio poggiato su una mensola, gli scricchiolii domestici... Volevo sorridere e dormire e osservare tutto allo stesso tempo. Volevo che durasse a lungo. Invece finiva sempre troppo presto e, soprattutto, dovevo aspettare di crescere un altro po' perché il rituale si ripetesse. 
Mi piaceva starla a guardare, mia nonna. Oggi mi piacerebbe di più.