venerdì 20 settembre 2013

Dei ritorni

Sono tornata nella stessa scuola dopo sette anni. E sette anni sono un sacco di tempo.
Gli alunni di allora, loro, non ci sono più (ovviamente) ma ho ritrovato tante colleghe e tanti colleghi, inclusi i collaboratori e le collaboratrici scolastiche che si ricordano ancora di me. Mi hanno abbracciata, baciata, sorriso. Qualcuno mi ha detto: "Ti aspettavamo!" o "Che bello che sei tornata!" 
Ho ritrovato la mia amica L. e abbracciarla forte nella sala docenti è stato bello, più bello che incontrarsi e mettersi a chiacchierare per strada al nostro paese.
Poi c'è l'altra collega d'inglese che non mi ha mai incontrato perché quando ho lavorato in quella scuola è stato proprio per sostituire lei e che per telefono mi dice che ha sentito tanto parlare di me e che non vede l'ora di conoscermi. Pure la dirigente mi dice che, dall'entusiasmo della sua vice, ha dedotto che debba essere una brava docente e quindi si aspetta molto da me. Tutte queste aspettative mi mettono un po' d'ansia perché dovrò dimostrare di esserne all'altezza. Ma è una cosa positiva: sarà uno stimolo costante a dare il meglio di me sempre.
E poi ci sono loro, i ragazzi. Entro in classe e ricomincia tutto un'altra volta, come se la pausa estiva non ci fosse mai stata. Non conosco i loro volti o i loro nomi, non ho con me materiale scolastico ma è come se scattasse qualcosa. Mi sento nel mio ambiente naturale. E so perfettamente cosa fare, cosa dire. 
Alla seconda ora sono in una terza (che cambia per il terzo anno consecutivo docente d'inglese). Alla fine dell'ora c'è l'intervallo. Mentre loro fanno pausa, li osservo e mi accorgo che mi piacciono già tanto. E mi ricordo già tutti i loro nomi.
Mi piace il mio lavoro. Credo mi piaccia sul serio.


venerdì 6 settembre 2013

Del risveglio

Il risveglio è il momento peggiore della giornata. La consapevolezza arriva gradualmente e, man mano che avanza, mi riempie di amarezza al punto che faccio fatica a deglutire. Inconsciamente spero si tratti di un brutto sogno. Frugo tra le pieghe della mente alla ricerca della prova che i ricordi siano sbagliati. Invece no, non si tratta di un sogno. Allora provo a riaddormentarmi, provo a sfuggire alla consapevolezza annebbiando la mente con il sonno, così come ci si sveglia per scacciare un incubo ma è un tentativo inutile. I pensieri hanno cominciato a far rumore. Sono come tarli che bucano il sonno e mi aprono gli occhi con prepotenza. Non mi addormento più.

Il risveglio è il momento in cui vacillo. Vorrei gridare: "Fuorigioco!", come quando ero bambina e giocavamo ad acchiapperello e non ce la facevo più a correre e avevo bisogno di una pausa e interrompere il gioco.
Mi ricordo questo sogno che feci da piccola. Nel sogno c'era il barone Ashura di Mazinga e stavamo combattendo con i robot e tutto il resto. Però si stava facendo tardi e io dovevo fare i compiti. Quindi, a un certo punto, smettevo di combattere e dicevo: "Fuorigioco!" ma il barone Ashura mi faceva prigioniera ugualmente e io mi arrabbiavo e gli urlavo: "Non vale! Ho detto 'Fuorigioco!'. Devo fare i compiti!" E lui mi rispondeva che quello non era mica un gioco che potevo smettere quando mi pareva.

Esatto. Mica è un gioco questo. Mica.