martedì 28 febbraio 2012

Del viaggiare in pullman


Viaggiare in pullman sulla lunga distanza mi piace. Se non devo farlo di notte. Mi piace stare vicino al finestrino per guardare fuori o poggiare la testa sul vetro quando m'addormento. Soprattutto mi piace osservare scorrere il paesaggio mentre io me ne sto rannicchiata tra i miei pensieri liberi ad ascoltare la mia musica. 
Il tragitto in pullman diventa il viaggio in sé; le strade che percorro danno significato al movimento. Non si tratta di dislocamenti immediati, che durano lo spazio di poche ore in ambienti asettici e tutti uguali, come gli aerei o gli aeroporti, che all’improvviso mi trovo da un’altra parte, completamente diversa da quella da cui sono partita. Le trasformazioni graduali del paesaggio indicano l’essenza del cambiare luogo; il trascorrere lento del tempo racchiude il senso del passaggio da uno spazio a un altro.
Io non devo far nulla se non lasciarmi condurre; il corpo abbandonato a un fervido osservare, ascoltare, scorrere. Le urgenze del quotidiano vivere lasciano il posto alle necessità della mente, quelle che spesso si agitano nell’inconscio o trovano spazio nei sogni. Mi racconto storie che non ascolterà mai nessun altro all’infuori di me; mi perdo tra le linee e i colori che si snodano oltre il finestrino e mi ritrovo nell’immobilità fittizia di un orizzonte in fuga. 

giovedì 23 febbraio 2012

They'll see and they'll know, and they'll say, "Why, she wouldn't even harm a fly..."

Alfred Hitchcock è uno dei grandi del cinema. Per me è un fatto oggettivo. 
E siccome è un grande del cinema, sono convita che tutti, anche i più giovani, in qualche modo debbano aver sentito parlare di lui o dei suoi film. Almeno i più famosi, i più citati, i più copiati, i più replicati...
Invece ho recentemente scoperto, con estremo disappunto, che non è così. Quando un mio alunno, l'altro giorno, stentava a leggere il nome di Alfred Hitchcock inserito in un esercizio nel loro libro di testo, mi è venuto spontaneo chiedergli come mai, se non sapeva chi fosse questo tizio. Così ho scoperto che, non solo lui ma, di un'intera classe di dodicenni/tredicenni (25 in tutto), nessuno - dico, n-e-s-s-u-n-o! - sapeva chi fosse Hitchcock o aveva mai visto o sentito nominare uno dei suoi capolavori senza tempo. Questo, per esempio: 




Invece, tutti - dico, t-u-t-t-i! -, conoscevano questo tema:



Come mai? Semplice. Perché l'hanno sentito nel programma televisivo Le Iene un sacco di volte. 
Mi sono esibita in una fantastica performance vocale e mimica che cercava di riprodurre la sequenza. Hanno capito subito! Come sempre più spesso accade, ho sospeso la lezione d'inglese per provvedere a colmare una lacuna culturale inaccettabile.
Ho spiegato chi fosse Alfred Hitchcock e ho raccontato loro la trama di Psycho, descrivendo (con un certo trasporto) alcune scene topiche del film, a partire, appunto, da quella famosissima della doccia:


E poi mi sono soffermata sulla sequenza che ha impressionato in maniera indelebile me quando ho visto il film la prima volta, da bambina. 
La sedia a rotelle che ruota lentamente verso la cinepresa e poi subito zoom sul teschio imparruccato, l'urlo di Lila, la lampadina che, colpita dalla mano della donna, comincia a dondolare in modo sinistro, di nuovo la musica raccapricciante dei violini a definire l'atmosfera della scena, l'ingresso improvviso di Norman travestito da sua madre con il coltellaccio in mano. Mi presi uno spavento infinito, all'epoca. 




I ragazzi si sono appassionati alla storia. Qualcuno ha appuntato il titolo sul diario e ha affermato che sarebbe andato a cercare il DVD alla Feltrinelli. 
Missione compiuta!



giovedì 16 febbraio 2012

Della fatica mattutina e altre schifezze

Il suono della sveglia mi raggiunge nel bel mezzo di un sogno che adesso ho dimenticato.
Cerco goffamente di spegnere la sveglia più in fretta che posso per non disturbare il mio compagno che può permettersi di continuare a dormire: stamattina sono eccessivamente scoordinata.
Mi alzo e vado in bagno con gli occhi che non riescono a restare aperti. I miei movimenti sono meccanici e privi di energia. Avverto un leggero senso di nausea e mi gira la testa. Questa mattina ho anche molto freddo e levarmi il pigiama è una tortura indicibile. "Noncelafacciononcelafacciononcelafaccio... muoio..." (Di fatti, ogni volta che raggiungo la stazione mi sembra di aver compiuto un'impresa titanica.)
Faccio colazione con la mia solita tazza di tè bollente e muesli croccante. Mi sento la faccia pericolosamente prossima a crollarmi nella ciotola del muesli. Mentre mangio con poca voglia, penso che forse potrei andare a sdraiarmi un po' sul divano e chiudere un attimo gli occhi. So perfettamente di rischiare che l'attimo si trasformi in ore. Così resto seduta al tavolo della colazione alla ricerca di un pensiero confortante. 
Confortante, per esempio, potrebbe essere sapere che oggi pomeriggio non dovrò fermarmi a scuola e, quindi, potrei rilassarmi un po'. Solo un po' perché, se proprio voglio dormire, chiudere gli occhi, svanire da questa dimensione, posso farlo, comunque, solo con i tappi alle orecchie o raggomitolata abbastanza scomodamente sul divano con la tv sintonizzata su un qualche film in lingua originale in sottofondo. Altrimenti i rumori che provengono quotidianamente dai piani inferiori aggiungerebbero altro stress a quello della giornata lavorativa e alla stanchezza dovuta alla levataccia mattutina.
Potrebbe essere un pensiero confortante, quindi. Ma oggi non lo è. Anzi, il contrario. Perché oggi è giovedì di carnevale e temo fortemente che, a piano terra, si terrà una festa, con musica e trambusto fuori programma annessi. 
Oggi pomeriggio neanche il divano e la tv mi basteranno come alleati. Oggi sarà una brutta giornata. Non c'è più neanche il sole.

mercoledì 15 febbraio 2012

Nonostante tutto

Stamattina, quando mi sveglio (come al solito, prima che sorga il sole), la sottile coltre di neve che, ieri sera, si è posata ovunque, si è trasformata in ghiaccio.
Il percorso a piedi fino alla stazione è particolarmente lungo e faticoso, reso insidioso dalle pozze d'acqua ghiacciata non chiaramente visibili alla luce dei lampioni. Il mio treno parte in ritardo, sempre per colpa dei danni della gelata e, di conseguenza, arrivo a scuola con 5 minuti di ritardo. 
Nonostante tutto, il paesaggio imbiancato che brilla oltre i finestrini alla luce del sole è bellissimo. Nonostante tutto, la lunga chiacchierata in treno con Ciccio è decisamente piacevole e molto interessante.

In classe mi sento parecchio stanca; mi mancano le forze. Per contro, oggi i ragazzi sono parecchio scalmanati.
Nonostante tutto, continuo a sorridere, fare lezione e scherzare con loro per tutte e 4 le ore. È Giulia di 2^ a farmelo notare. Quando dico ai ragazzi che oggi sono particolarmente allegri e inclini alla risata facile, lei ribatte: "Però, prof, anche lei oggi è di buon umore!" Mi scappa inspiegabilmente da ridere. Mi trattengo a fatica. Naomi dice: "Prof, lei è la migliore!" (e adesso non ricordo bene perché lo dica). Qualcun altro le fa eco. Mi viene ancora più da ridere. Per contenermi, non trovo niente di meglio da fare che battere la mano aperta sulla cattedra e minacciare: "Basta! Se non la smettete vi metto una nota sul registro!" Sono, evidentemente, assai poco credibile. Naomi, divertita, incalza: "Ma come, prof? Noi le facciamo un complimento e lei ci vuole mettere una nota!? Perché?" Mi arrendo. "Perché mi fate ridere!", dico e rido liberamente. I ragazzi mi seguono a ruota. Qualcuno applaude perfino. L'occasione è ghiotta per esagerare e fare un po' di baldoria. Seguono attimi di puro delirio. Riportare ordine in classe non è roba da poco. Lo sapevo che finiva così. È l'ultima ora.

Mentre rincaso in treno sono serena. Riavvolgo mentalmente il nastro di questa parte di giornata appena trascorsa e credo di capire perché quella di oggi è stata una bella mattinata, nonostante tutto: stamattina è tornato a splendere il sole.

martedì 14 febbraio 2012

Di lingue e cultura

Esempio
Svegliarsi alle 5.30 diventa sempre più faticoso. Così in treno cerco di riposare. Chiudo gli occhi, ogni tanto mi addormento. 
Ieri mattina non ci sono riuscita. C'era troppa gente e il tizio che mi si era seduto a fianco puzzava di cipolla e di pessimo dopobarba. 
Soprattutto c'erano quattro studenti universitari, due ragazzi e due ragazze, che ripetevano collettivamente, confusamente e a voce molto alta (in maniera particolare le due ragazze) una qualche materia economica, come se gli altri passeggeri fossero lì per assistere alla loro esibizione mattutina. 
Sono saliti in stazioni differenti e si sono incontrati nel vagone dov'ero io. 
Dopo un po', mi sono arresa e ho tirato fuori il mio iPod per coprire lo schiamazzo fastidioso. Prima, però, ho avuto modo di ascoltare una conversazione decisamente "pregnante" tra le due ragazze. L'ultima a salire in treno si è stupita di trovarci l'amica. A quanto pare, questa ha la patente e, quindi, la possibilità di andare a Bari in auto. La tizia, perciò, non si capacitava del fatto che l'amica avesse preso comunque il treno.
Il brevissimo dialogo si è svolto come segue:
"Ma scusa... tu non hai la patente?"
"Sì."
(con tono esasperato) "E allora!? Ma sei una puttana!"
"Ouh! Non mi rompere i coglioni!" 

Riflessione
Ai miei alunni dico sempre che la lingua (non solo quella inglese, la lingua in genere) è una materia viva e, in quanto viva, muta di continuo. Lo dico perché è vero e perché riflettano sul fatto che non possono imparare una lingua straniera limitandosi solo a svolgere, più o meno diligentemente e più o meno correttamente, gli spesso noiosissimi esercizi di grammatica che trovano nei loro libri scolastici. La lingua, ogni lingua, compresa la nostra, vive le nostre vite e si nutre dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e dei nostri sogni. La lingua va parlata così come la vita va vissuta. Perciò, esattamente come ogni organismo vivente, anche una lingua può ammalarsi e può morire.
La funziona simbolica del linguaggio, la sostituzione, cioè, dell'oggetto con la parola, trovo che sia la componente più affascinante di ogni lingua. 
Lo scrittore fantasy J.R.R. Tolkien considerava le parole lo strumento fondamentale per assicurare la compatteza di una comunità, per capire il mondo naturale e per valicare i limiti del tempo e dello spazio: le parole erano magia. Per Tolkien, la lingua rappresentava il principio di una cultura e non un suo prodotto. Diceva, addirittura, di aver scritto The Lord of the Rings (Il Signore degli Anelli), per dare un mondo alle lingue che aveva creato e non il contrario. In definitiva, erano state le lingue che aveva elaborato a dar vita alla Terra di Mezzo e alle sue storie fantastiche e complesse. 
In fondo, la complessità di una lingua riflette la complessità e la raffinatezza di pensiero di un popolo (o di un individuo) e, quindi, del suo livello culturale. L'ecologista Paul Hawken, a proposito delle popolazioni indigene del pianeta, riporta, nel suo straordinario saggio Blessed Unrest (Una moltitudine inarrestabile, in italiano) che oggi "metà del vocabolario parlato da un ragazzo americano è formato da meno di 40 parole". Per contro, la lingua Yámana (che rischia ormai l'estizione, come il popolo fuegino che la parla) ne conta 61 solo per esprimere la parentela (in inglese ce ne sono 25).
L'antropologo Wade Davis afferma che "a language isn't just a body of vocabulary or a set of grammatical rules. It is a flash of the human spirit, a vehicle through which the soul of a particular culture comes into the material world. And when we lose a language, we lose a vital element of the human dream." [Una lingua non è solo un corpo di parole o un insieme di regole grammaticali. E' un guizzo dello spirito umano, un veicolo attraverso il quale l'anima di una particolare cultura si manifesta nel mondo materiale. E quando perdiamo una lingua, perdiamo un elemento vitale del sogno umano.] 

Conclusione 
Temo che la nostra cultura si sia ammalata e stia morendo di una morte molto triste.


venerdì 10 febbraio 2012

Note sparse dei mesi bui

M'impressiona stare sul binario mentre c'è un treno in transito. M'impressiona perché temo di non riuscire a controllarmi, di lasciarmi sedurre dal movimento del treno e finire con l'essere travolta. 
I treni in corsa sono affascinanti. Mi vien voglia di correre con loro.
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Mi sento a parte
Sono stanca. Sonnecchio ma non ci sono le condizioni giuste per riposare davvero. Le luci nel vagone sono troppo forti, l'aria condizionata è troppo fredda, le voci degli altri passeggeri troppo alte, i sedili troppo rigidi, lo spazio tra un sedile e l'altro troppo stretto... 
Stamattina è tutto troppo. E io sono davvero troppo stanca.
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Credo che certi sguardi abbiano la capacità di toccare gli altri. Altrimenti non mi spiego perché la signora che stavo fissando intensamente stamattina (e che era seduta molto distante da me) si sia voltata improvvisamente nella mia direzione e mi abbia fissata a sua volta.
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Nonostante il freddo e la neve, non entro nella sala d'aspetto della stazione. Le luci a neon mi feriscono lo sguardo. Soprattutto a prima mattina.
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Una delle poche cose positive dell'inverno è che non ci sono le mosche.
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Molti adolescenti di oggi vogliono fare (e fanno) troppe cose contemporaneamente: ascoltano musica con il loro lettore mp3, chiacchierano, mandano sms e qualcuno fuma pure. Decisamente nessuna di queste cose viene fatta con sufficiente attenzione.
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Osservo gli uomini seduti attorno a me in treno. Sfoggiano sicurezza nei loro abiti puliti e ordinati; cravatte, scarpe lucide, grossi orologi da polso, soprabiti meticolosamente ripiegati e poggiati sulle ginocchia o sul sedile di fianco. Hanno quest'aria così... adulta, un po' annoiata; sguardi che dicono "io mi occupo di cose importanti."
Allora provo ad immaginarli bambini. Li immagino a scuola, la scuola di tanti anni fa, quella che mi ricordo io e quella che mi è stata raccontata da chi ci è andato prima di me. Li immagino piccoli, alcuni con i capelli che adesso non hanno più, seduti in maniera composta nel loro banco mentre ascoltano il maestro o la maestra delle elementari. Provo a ringiovanire i loro tratti e le espressioni cambiano: gli occhi si fanno più grandi e incerti, gli angoli della bocca si ammorbidiscono, la pelle diventa liscia e luminosa. Qualcuno è bruttino ma fa una certa tenerezza. Le mani con le dita corte e paffute non gesticolano sicure ma sono poggiate sul ripiano azzurrino o verde dei banchi di una volta. Aspettano.
All'improvviso questo treno è pieno di bambini travestiti da adulti che fingono di occuparsi di cose importanti.