martedì 28 agosto 2012

Del risveglio

Sono rimasta sola, seduta al grande tavolo dove la signora E. ci ha appena servito la colazione. 
C'è musica in sottofondo: Franz Liszt, Consolazione n.3. La finestra e la porta-finestra della stanza spaziosa sono aperte. Dalla veranda entra solo il respiro fresco del mattino. Nessun altro suono. Resto immobile, le braccia sul tavolo, lo sguardo che vaga pigro intorno: l'antico pavimento in legno, la pila di cd sulla mensola di pietra del camino, il grande vaso con le orchidee bianche sul tavolo della colazione, le ciotoline con la marmellata, le briciole di pane nei piatti, il filtro umido del tè, le tegole scure dei tetti, il verde degli alberi e delle piante nel cortile interno del palazzo cinquecentesco e sulla veranda. Siamo all'ultimo piano.
Ogni viaggio ha i suoi momenti perfetti, di quelli che restano nella memoria come perle. A Torino il momento perfetto è questo qui: la quiete, la pace, l'armonia, l'equilibrio. Il tempo rallenta, non c'è più prima e dopo. Respiro. Chiudo gli occhi. Perfetto.
Poi mi alzo. Vado fuori. Gli occhi volano oltre i tetti. La gatta di famiglia mi si avvicina silenziosa. Mi piego per accarezzarla. E subito arriva la signora E. Mi saluta, mi parla pacatamente, con un gran sorriso. La signora E. è bella e molto gentile. Ma l'equilibrio s'incrina. Le parole hanno spesso quest'effetto. Ad ogni modo, un'altra perla è stata conquistata. E resta là, a far compagnia alle altre.



mercoledì 15 agosto 2012

Della confusione

L'incertezza causa confusione. La mancanza di fiducia causa incertezza. Quindi, il problema è la mancanza di fiducia. La facciata non è stata dipinta bene e le crepe si vedono. La soluzione, però, è da ricercare altrove. L'attesa è insostenibile. Soprattutto adesso. Ma neanche allora. E forse, allora, sarebbe stato meglio aspettare. Ma adesso? Mi sento presa in giro. Mi sento una deficiente. La deficiente che aspetta. Nella confusione. Non va bene agire quando c'è confusione. 
Come faccio a ritrovare la quiete?

lunedì 6 agosto 2012

Della distanza

Sole bollente. Anche l'ombra profumata degli alberi non è sufficiente ad allentare l'abbraccio soffocante del caldo. Il corpo diventa molle, i sensi sono intorpiditi, perciò la mente si rilassa, non pensa a niente. Solo, vigila e respira. Non c'è bisogno di far nulla, nessuna urgenza, niente fretta. Sono stesa sotto un albero. Una grossa cavalletta mi salta sul dorso della mano. Cerco di scrollarla via ma quella resta dov'è. La guardo. Le cavallette così grandi mi fanno senso. In genere. Adesso, invece, no. La osservo e mi sembra solo un altro pezzo di questo puzzle del tempo rallentato.
Spesso riempio la mia tazza d'acqua fresca dal rubinetto fuori dalla casetta della fattoria e la bevo con soddisfazione. Lo facciamo tutti. Questa fonte d'acqua diventa il centro della piccola comunità provvisoria. Ci si viene per bere, per lavare le stoviglie o prima, mentre si cucina; per lavarsi i denti, per infilare la testa sotto il getto d'acqua fresca o per sciacquarsi la faccia.
Le tende sono piazzate in maniera disordinata tra gli alberi del boschetto o nelle radure. La mia è nascosta tra gli alberi. Ci si arriva grazie a un piccolo sentiero tra rovi e arbusti. Si sta bene, lì in mezzo. La mattina, quando il sole torna a splendere forte, le fronde degli alberi trattengono un altro po' la frescura della notte. Prima di alzarmi resto stesa nella mia tenda ad ascoltare le cicale. Si sentono solo loro. Ogni tanto arriva la voce di qualcuno che passa lì vicino, suoni pacati, rassicuranti. E quando poi cala la notte, le cicale lasciano la scena ai grilli, la ninna nanna dell'estate. (E a José che russa nella tenda dietro la mia, ma va bene lo stesso.)

Le mie braccia e le mie gambe portano i segni di giornate passate all'aperto, lontana dalle comodità urbane e con pochi vestiti addosso: graffi, lividi, punture di insetto e la pelle che si colora di sole. 

La doccia è uno dei momenti più piacevoli delle giornate afose. Ce ne sono due, una di fianco all'altra, con la struttura fatta di canne. Per terra ci sono dei grossi sassi piatti. I teli appesi all'ingresso garantiscono una discreta intimità ma la sensazione è quella di fare la doccia all'aperto. Che è una sensazione molto piacevole.

E poi arriva la sera fresca e il corpo ritrova l'energia. Si sta insieme, si chiacchiera, si ride, si mangia, si beve vino, si canta, ci si conosce, si assiste incantati allo spettacolo di Vita e delle sue palle di fuoco.
Una sera, mentre aspettiamo la nostra pizza, in fila davanti al forno a legna, Luca mi dice: "Guarda là!", e indica il cielo con un dito. Le stelle. So che ci sono. Mi fermo spesso a guardarle quando vado verso la mia tenda, al buio. Sono tante. Sono luminose e sono belle. Ma è anche bello che Luca abbia voluto condividere questa cosa con me.
E poi c'è la luna che, in questi giorni, splende piena e illumina i nostri passi incerti sul terreno sconnesso, anche senza bisogno delle torce.
E, soprattutto, ci sono gli altri e le altre, incredibili altri e incredibili altre, che occasioni speciali come questa riescono a fare incontrare. I sorrisi s'incrociano, s'incrociano gli sguardi e le intenzioni. Si sta bene.

Andrea mi aveva raccontato che gli era già capitato. Ora capita a me. Dopo solo pochi giorni trascorsi senza guardarmi in uno specchio, rivedere la mia immagine riflessa durante il ritorno a casa è un'esperienza straniante: la donna con la pelle abbronzata e gli occhi rossi di sole che mi guarda dall'altra parte dello specchio sono davvero io?
Torno, ma la mente resta a galleggiare nella campagna ciociara: aria bollente di sole, frinire intenso di cicale, una cavalletta sul dorso della mano, acqua fresca, falò di notte, tante stelle, luna piena, concerto notturno di grilli, alberi, profumo di resina e terra, pranzi messi su con quasi niente, cene tutti insieme, seduti per terra, pizze nel forno a legna, sangria, vino buono, sagra di paese, sorrisi, mani che si sfiorano, occhi che s'incontrano, pensieri che volano leggeri.

L'essenziale. La lentezza. 
La distanza. 
Tra dentro e fuori. Zero. 
Tra questo e il resto. Molta. 
Mondi dentro mondi. Solo gli occhi a raccontare. Ad infinitum.