venerdì 30 gennaio 2015

Di pensieri disordinati, eccessivi e poco eleganti

Perché pare che, in questo periodo di crisi, l'unica cosa importante sia avere il posto fisso. Gli affetti, le piccole soddisfazioni personali, vengono dopo. Perché dobbiamo mangiare. Perché dobbiamo sopravvivere. Ma, se è così, allora piantatela di dire puttanate, la storia che il lavoro nobilita l'uomo. A parte il sessismo insito in quest'affermazione, il lavoro pesante e senza soddisfazioni, il lavoro fatto per necessità, in condizioni pessime e senza passione non nobilita un cazzo!
Perciò, io non sarò felice e soddisfatta se e quando otterrò un posto a tempo indeterminato nella scuola se questo comporterà rinunce importanti e condizioni di lavoro disgraziate. Per esempio, non voglio fare la tappabuchi nelle scuole a tempo indeterminato. Vorrei fare l'insegnante a tempo indeterminato. Non la tappabuchi! E se, alla fine, mi ritroverò a fare la tappabuchi per necessità, lo farò male e sarò una donna frustrata professionalmente. Con la pancia piena e un tetto sulla testa ma mortalmente insoddisfatta. E, eventualmente, non ringrazierò nessuno per questo lavoro del cazzo (perché avere un lavoro, in generale, dovrebbe essere costituzionalmente un mio diritto, non un privilegio o un favore che mi fa lo Stato o chi per esso). Perciò continuerò a mandare anatemi all'indirizzo di politici di merda e di uomini e donne di merda che hanno tirato su altri uomini e donne di merda che compongono buona parte di questa pessima società. Perché, di merda, ce n'è così tanta in giro che l'umanità, quel tratto che dovrebbe contraddistinguere il nostro genere, sembra esserci annegata dentro, cosicché riuscire a trovarne traccia (dell'umanità, cioè) è ormai difficilissimo.
E vedo ragazzi che crescono male, abbandonati a loro stessi, alle pessime tv e a modelli adulti corrotti, brutti, falsi, innaturali e idioti. Ragazzi ai quali abbiamo rubato anche la libertà di sognare con i nostri sguardi tristi e i nostri animi miserabili.
E dice che viviamo in un Paese a maggioranza cattolica. Se fosse vero, dovrebbe essere un piccolo paradiso sulla terra: tutti fratelli e sorelle, tutti pronti a soccorrere il prossimo, tutti pronti a mettere da parte i propri egoismi, tutti disponibili alla condivisione e ad accogliere l'altro senza distinzione alcuna, tutti compassionevoli e caritatevoli. Invece no. Non è vero un cazzo! Ché la maggioranza cattolica fa una valanga di eccezioni e discriminazioni ed è bravissima a puntare il dito e condannare. L'aureola di santi beati martiri spunta sulla testa solo quando accogliere, condividere, rispettare, soccorrere non costa un piffero stonato.
E ci ritroviamo tutti contro tutti a dividerci l'unico biscotto che mani grasse hanno lasciato sul tavolo dopo averci sottratto la scatola intera. E noi, poveri deficienti, continuiamo a scannarci gli uni gli altri per dividerci quel misero biscotto, invece di saltare addosso a quello dalle mani grassocce e minacciarlo di sfraganarlo di mazzate se non rimette la scatola sul tavolo, cosicché ci possano essere biscotti per tutti.
E quelli che dicono che vogliono fare politica in modo diverso e invece non è diverso un accidente di niente. Le storie si ripetono sempre uguali, incessantemente, perché nessuno ha veramente le palle per (e forse neanche la voglia di) cambiare le cose. Si urla, s'impreca, si battono i pugni e poi, quando ci sono da fare i fatti, i fatti sono sempre la solita merda. E si fa così, dicono, e tu non capisci, e tu non sai, e tu sei ingenua, e tu sei un'idealista, e tu dura e pura, e tu rompipalle, e tu acida, e tu perdente, e tu femmina che ti permetti di avere un'idea diversa dal gruppo dei maschi dominanti...
Sono stanca di questa società squilibrata che pretende di farmi sentire sbagliata solo perché non accetto di mangiare merda in silenzio. Perché non ti devi lamentare! Non serve a niente, oh!

Non serve assolutamente a nulla aver messo questi pensieri eccessivi e disordinati e arrabbiati nero su bianco, lo so, ma almeno adesso i pensieri sono fuori. Dentro mi stavano dando problemi di stomaco.




mercoledì 7 gennaio 2015

Di una notte nel deserto

Siamo arrivati che era già buio. In cielo le stelle e una mezza luna come non l'avevo vista mai. Intorno intuivo una vastità mai sperimenta prima ma nella quale gli occhi non potevano ancora tuffarsi per via del buio.
Dopo cena sono uscita dalla tenda comune dove avevamo cenato, ho preso il mio taccuino e mi sono appartata su una roccia nei paraggi per scrivere alla luce della mia torcia elettrica.
Le voci dei gruppi nella tenda, però, mi distraevano. Allora ho smesso di scrivere e mi sono riavvicinata alla tenda. Ma dentro c'era troppo fumo. Sono restata sulla porta, indecisa. Entro o me ne vado a dormire? In quel momento è uscito Mohammed, uno dei beduini del campo. Abbiamo cominciato a chiacchierare. Non ricordo come sono arrivata a dirgli che cercavo il silenzio. 
"Do you want quiet?", mi ha chiesto. Poi mi ha indicato la sommità della roccia a ridosso del campo tendato. "Up there is quiet. Do you want me to take you there?"
Certo che sì.
"Come with me.", ha detto. E si è addentrato nel buio. Io gli sono andata dietro.
Quando ha cominciato ad arrampicarsi, ho avuto un attimo di esitazione. Quella roccia mi era estranea. Mohammed, invece, procedeva sicuro. Quando ha notato la mia titubanza mi ha chiesto se avessi paura. Gli ho risposto che non riuscivo a vedere dove mettessi i piedi. "Give me your hand.", ha detto. "I'll take you safe up the rock and then down again. Trust me."  
E io mi sono fidata. Quando non ero sicura del mio passo, lo trovavo sempre lì pronto a offrirmi la sua mano calda. Un tocco leggero, incoraggiante. 
Poi Mohammed si è fermato. Eravamo arrivati in cima. Mi sono fermata anch'io. Il silenzio assoluto, totale, completo mi ha ingoiato all'improvviso. Non c'era neanche la voce del vento. Tutto era fermo, immobile, senza suono. Sulla mia testa le stelle e la mezza luna rovesciata. Gli occhi ormai abituati all'oscurità riuscivano a riconoscere gli spazi larghi del deserto che si stendeva ai nostri piedi. Il cuore mi è esploso nel petto. I polmoni si sono dilatati oltre i confini del corpo. Quante volte avevo desiderato vivere un momento come quello! E mi ci sono trovata dentro così, inaspettatamente. Un'emozione vibrante, intensa, incredibile.
"Do you like it here?", mi ha chiesto Mohammed.
Sì. Mi piace. Di più.
Mi ha mostrato la cima di un'altra roccia, un po' più lontana. Mi ha detto che là ci saremmo potuti sedere. L'ho seguito ancora una volta, ancora una volta fidandomi del suo passo sicuro e della sua mano calda. 
Sull'altra cima c'era il sedile di un furgone poggiato sulla nuda roccia. Mohammed s'è seduto senza dire niente lasciandomi spazio accanto a lui. Mi sono seduta anch'io. Sono scivolata sul tessuto consumato del sedile fino a poggiare la testa sullo schienale, le gambe allungate davanti a me, gli occhi rivolti al cielo. 
Ogni tanto parlavamo. Lui mi faceva domande semplici, dirette, con voce morbida, quasi a non voler turbare troppo il silenzio che stavamo abitando. 
Poi mi ha chiesto: "What do you like of your life?"
La mia risposta resterà un segreto tra me, lui e il deserto.
E poi: "Do you want to be quiet now?", mi ha chiesto.
"Yes. Please."
"You tell me when you want to go back.", ha concluso e poi si è raccolto nel suo lungo cappotto di pelle di pecora e ha smesso di parlare. 
Io sono restata a faccia in su, con gli occhi persi tra le stelle, immersa nel silenzio assoluto. Il vuoto si è fatto spazio tra i pensieri, liberandomi la mente. Una felicità impregnata di serenità mi si è adagiata addosso come una coperta. Non desideravo nulla se non essere lì in quel momento. Succhiare ogni goccia di silenzio, accoccolata nel buio foderato di piccole luci sulla mia testa. Il deserto tutto intorno. Un invito a perdermici dentro, a navigare la vastità, a lasciare che l'anima ritrovi la sua forma originaria. Senza confini, senza finte necessità. Bere, mangiare, qualcosa con cui coprirsi. Dormire sotto le stelle. Respirare. Piano. 
Una stella cadente ha attraversato il mio campo visivo come un inchino.
La Bellezza.