giovedì 14 marzo 2013

Dell'ultimo libro


Titolo: Ég man þig. In italiano significa Mi ricordo di te.
È un thriller. L'ha scritto un'autrice islandese che si chiama Yrsa. Senza cognome, ché gli islandesi non ce li hanno, i cognomi.

Qui da noi sta arrivando la primavera. I mandorli sono in fiore. Le temperature sono diventate più miti. Le ore di luce solare si sono visibilmente allungate. 
Invece, la storia che ho letto nel giro di una decina di giorni è ambientata tra i fiordi dell'Islanda nord-occidentale, in inverno. 
Leggo e diventa buio intorno a mezzogiorno. Il buio è popolato da incubi e scricchiolii e gemiti e vento freddo e acqua gelida e odore di pesce marcio e fantasmi. 
Fuori c'è il sole ma io sono intrappolata nel freddo del nord. E ci sto inspiegabilmente bene. Sigillo la mia bolla di solitudine con la musica di Björk e scivolo via. 
Lo stile di Yrsa non mi piace. È troppo verboso, inutilmente descrittivo, a scapito del ritmo del racconto. Anche l'edizione del Saggiatore non mi sembra eccellente (ad eccezione dell'immagine di copertina). Ci sono diversi refusi e dubito pure della qualità della traduzione. 
Però la storia mi tiene saldamente incollata alle pagine del libro e alle sue atmosfere cupe, glaciali. 

L'inverno è quasi arrivato al suo capolinea e io dovrei esserne contenta, io che ho sempre odiato tanto l'inverno e il freddo e il buio; io che vorrei fosse un'eterna estate e che vorrei emigrare come gli uccelli. 
Invece, quest'anno sono qui che guardo i fiori rosa sui rami degli alberi e idealmente punto i piedi per terra per rallentare. 
Non sono pronta. 
Non sono pronta per la primavera, per il sole, per la luce, per la vita. Non ho energia. Sono molto stanca. Sento di avere ancora bisogno di riposo. Ho bisogno di stare arrotolata su me stessa, tra i miei pensieri. Ho bisogno di silenzio, un inesauribile, infinito bisogno di silenzio, di pace, di quiete. Ho bisogno della notte. Ho ancora bisogno di stare dentro

Yrsa mi mi ha regalato un po' di quella quiete di cui vado alla ricerca come un'assetata nel deserto; un'oasi di silenzio freddo, introspettivo. Poco importa se si trascina dietro morti violente e misteriose. Calpesto sentieri ricoperti di neve fresca, immacolata, mi perdo nei cieli del nord illuminati dall'aurora boreale, apro gli occhi nel buio e non vedo niente. Solo, sento. Il cuore che batte. 
Piano. 
Profondo. 
Tutum.
Tutum.
Tum.

...




Nessun commento:

Posta un commento