giovedì 6 settembre 2012

Del paradiso

Sono le otto e un quarto. P. mi aveva dato appuntamento per le otto e mezza. Mi sono appena svegliata. Non ce la faccio. La chiamo. Lei mi dice che va bene se partiamo un po' più tardi e insiste che vada.
Va bene. Sono quasi le nove quando partiamo. Lei va al maneggio vicino al mare. Io vado semplicemente a mare. Mi lascia nei pressi di Lido Tavernese. 
"E se piove?" 
"Pazienza. Mi bagnerò."
"Potevo darti la macchina..."
"No, non mi va. Non ti preoccupare. Ci sentiamo dopo."
Ci salutiamo.
Arrivo sul mare. La linea di costa che mi accoglie è una striscia sottile di pietre e sassi. C'è un signore anziano seduto su una piccola sdraio che mi blocca il passaggio. Devo superarlo e poi percorrere un tratto con i piedi nell'acqua per raggiungere un lembo di sabbia calpestabile. Mi dirigo a sud. Il mare che bagna la riva è color fango. Forse nei giorni scorsi sarà stato mosso o forse è una conseguenza delle piogge di ieri. Più al largo, invece, è di un azzurro brillante che si staglia contro nubi bianche e spumose, la linea dell'orizzonte netta a indicare la rotondità del mondo. 
Cammino. Il sole mi costringe a strizzare gli occhi. In lontananza, davanti a me, vedo le sagome di tre persone che procedono nella mia stessa direzione. Sono molto distanti. Dietro di me, nessuno. L'uomo seduto sui sassi è scomparso dietro le dune di sabbia e le pieghe sinuose della costa. 
Cammino e c'è silenzio. A eccezione del jazz delle onde. 
Cammino e sono sola. 
Fa caldo. Mi fermo. Infilo le ciabatte di gomma in una tasca della borsa, mi sfilo i pantaloncini e la maglietta e li metto via. Riprendo a camminare.
I colori, oggi, sono brillanti. L'aria è tersa. Vorrei avere la macchina fotografica con me ma l'ho lasciata a casa. A un certo punto, poggio la borsa sulla sabbia e corro su per una duna. Voglio capire dove mi trovo. Oltre la duna c'è la zona umida e uno stagno con degli uccelli che ci nuotano dentro. Più in là c'è la statale. Non ho idea di dove sia arrivata. Ritorno sulla spiaggia e riprendo a camminare.
Guardo l'orologio. Sto camminando da oltre venti minuti e ho incontrato solo una donna che parlava al cellulare nei pressi di un lido. 
L'acqua che bagna la riva diventa sempre più limpida e io ho sempre più caldo. È arrivato il momento di fermarsi. Lascio cadere la borsa sulla sabbia ed entro in mare. Mi tuffo. È bellissimo qui. Mi piace. E non c'è nessuno. Molto più avanti vedo qualche ombrellone e poche sagome scure di altri bagnanti.
Esco dall'acqua, prendo la maschera e ritorno a tuffarmi. Trasparenza infinita che si tinge d'azzurro. Sott'acqua, la sabbia bianca imita le forme delle onde del mare. Un banco di piccole marmore mi segue dappertutto e mi fa il solletico ai piedi quando li poggio sul fondo sabbioso. 
Se mi fermo a guardare l'orizzonte, vedo solo diverse sfumature di blu, azzurro, verde, dal cielo al mare, a eccezione dei cumuli bianchi dall'apparenza soffice, poggiati sulla linea dell'orizzonte. Se mi volto verso la costa vedo le dune di sabbia, il canneto e la mia borsa. Ogni tanto si sente il canto di un uccello che s'aggiunge a quello del mare. Poi, basta. Poi, nessuno.
Questa solitudine silenziosa mi ha ingoiata viva e adesso io sono mare, sabbia, sole, aria. Finalmente, non penso a nulla. La mente è vuota. Come l'orizzonte. 
Esco dall'acqua e mi stendo al sole. Respiro. Mi slaccio il pezzo di sopra del mio costume e lo sfilo via. Respiro.
Quando, più tardi, riapro gli occhi e mi metto a sedere, mi accorgo che c'è una coppia che si è fermata non troppo lontana da me. Per fortuna sono due persone silenziose, riservate. Lei indossa un solo pezzo, come me. 
Torno in acqua. 
È incredibile quanto un pezzetto di tessuto sintetico incida profondamente sul senso di libertà che si prova a farsi scivolare addosso la carezza sensuale del mare. Mi allontano dalla costa e tiro via anche il secondo pezzo. Metto la testa sott'acqua. Il paradiso.


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