venerdì 17 ottobre 2014

Della scusa per aprire parentesi

Venerdì scorso ho aderito allo sciopero e ho saltato la mia doppia lezione in prima media. Ieri mattina ho usufruito di un'ora di recupero e ho saltato di nuovo la lezione di un'ora nella stessa prima (ovviamente, non di proposito). La collega che mi ha sostituito ieri mi ha riferito che i ragazzi erano molto contrariati dalla mia assenza e mi reclamavano. Stamattina sono arrivata a scuola e le ragazzine mi sono corse incontro sul portone - tutte gridolini e sorrisi - per salutarmi. In classe M. mi ha rinfacciato di averli traditi perché non sono andata da loro per due settimane! Le ho fatto notare che la settimana era una e corrispondeva a due sole lezioni. Poi ho spiegato perché mi sono assentata e le motivazioni della mia adesione allo sciopero (anche se c'è qualche collega che ritiene che sia tempo perso, ché sono troppo piccoli per capire). 
Succede di frequente che, discutendo di un argomento, si arrivi a parlare di un altro che ha scarsa attinenza con il primo o con l'inglese. Le mie parentesi, cioè. Quei momenti durante i quali facciamo pratica di dialogo e confronto, dove esercitiamo il senso critico, impariamo a chiedere i nostri perché e proviamo a dare risposte ragionate e sensate; dove si ascolta e si aspetta il proprio turno per parlare. I momenti durante i quali (ci) si racconta. Io e loro. La parte del mio lavoro che preferisco. 
E così siamo finiti a parlare di migranti. È partito tutto da un commento ingenuo, fatto in maniera superficiale e, perciò, potenzialmente pericoloso. Nel caso specifico, quel commento aveva già ferito una ragazzina di origini marocchine. Di due ore di lezione, una l'abbiamo dedicata a questo confronto. Non è stato semplice gestire la discussione. Dovevo stare attenta a che la ragazzina non venisse ferita ancora/troppo da quello che i suoi compagni dicevano senza troppa reticenza ma, allo stesso tempo, era necessario che le parole venissero dette per poter chiedere i giusti perché, stimolare la riflessione e instillare il dubbio. E mi sono preoccupata un attimo quando ho chiesto: "Ma allora che facciamo con A. ed E. (gli unici due alunni con origini non italiane della classe)? Li cacciamo dall'Italia?". Mi sono preoccupata perché mi guardavano tutti in silenzio e nessuno rispondeva. Ho dovuto ripetere la domanda tre volte prima che mi rispondessero di no, che volevano che i loro compagni restassero. Eppure sono convinta che qualcuno di loro l'abbia detto solo perché trascinato dal gruppo. Mi ha molto colpito una ragazzina che, alla domanda che ponevo a una sua compagna, "Ma tu sei sicura che quest'informazione sia vera e corretta? Chi te l'ha detto?", s'è intromessa affermando con molta decisione: "Ma ce lo dicono i nostri genitori!" Altrimenti detto, se lo dicono loro, allora è vero.
Ho lasciato che A. ed E. raccontassero brevemente i loro vissuti, che spiegassero perché sono venuti in Italia. È stato bello ascoltarli.
Poi A., la ragazzina marocchina, durante l'intervallo, è venuta a raccontarmi in privato che anche alle elementari veniva spesso presa di mira dai commenti poco gentili dei compagni e (ha aggiunto con mio profondo orrore) anche di qualche maestra.

Durante la prima ora di lezione in una seconda, invece, la parentesi si è aperta a proposito dell'enorme patrimonio culturale, artistico e paesaggistico che abbiamo in Italia e che, invece di essere trattato come una delle risorse più importanti della nostra nazione, viene puntualmente ignorato e/o dimenticato. 

L'ultima ora in terza, infine, l'ho aperta con una bella discussione sul fumo, visto che becco sempre un paio di alunni a fumare prima dell'inizio delle lezioni. Non voleva essere la solita paternale moralistica sul fatto che fumare fa male. So perfettamente che non avrebbe sortito nessun effetto. Lo sanno già, che fa male. Ci siamo messi a chiacchierare di questa che per una ragazza, A., in particolare, è già una dipendenza. Chiacchierare con molta fatica. Ché questi ragazzi di terza non sono proprio abituati al dialogo e all'ascolto. L'unica modalità di lezione che concepiscono (= restano in educato silenzio e ascoltano - o fanno finta) è la lezione frontale. Se si chiede loro un minimo di partecipazione, è la fine! Ma comincerò dalla fine. Credo sia davvero necessario imparare ad ascoltarsi e a intervenire in forma corretta alle discussioni in classe. E ovunque. 
Alla fine dell'ora, mentre si mettevano in fila per uscire, ho detto ad A.: "Però, almeno, prova a fumare di meno..." E lei è venuta ad abbracciarmi. È stato un gesto spontaneo e tenerissimo che mi ha molto colpita.

E poi sono tornata a casa. Ero stanchissima. Guidavo e riascoltavo nella mia testa le conversazioni avute oggi con i ragazzi.
Ecco: adesso io non so veramente se tutto questo dialogare e confrontarsi avrà un effetto positivo su di loro oppure no, però comincio a credere che, per me, insegnare inglese sia solo una scusa per aprire parentesi.




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