giovedì 9 ottobre 2014

Del mio lavoro e degli occhi che brillano

Ho dato per scontato che lo sapessero già. Sono in terza media. 
"Sicuramente la professoressa che avevate gli anni scorsi ve l'avrà già detto..." 
Invece non lo sapevano. L'insegnante in questione, non solo non gliel'aveva detto spontaneamente, ma quando uno di loro (un casciarone patentato, certo, ma che c'entra?) aveva provato a chiedere lumi (Che significa 'ES' di fianco all'esercizio?), lei (a quanto mi hanno riferito) ha risposto in maniera inopportuna (Ma pensa agli affari tuoi!). Magari il dialogo non si sarà svolto esattamente così, però resta il fatto che i ragazzi non avevano consapevolezza di un dettaglio - certo non fondamentale, ma - utile per sfruttare al meglio lo strumento 'libro di testo' che hanno in dotazione. Una ragazza, pur di darsi una spiegazione che avesse un senso, aveva ipotizzato che significasse 'Esercizio'. 
Significa 'Esame di Stato', ho spiegato. E ho spiegato anche perché c'era quella sigla là, di fianco a quel particolare esercizio. Subito, un altro, evidentemente confortato dalla mia disponibilità a soddisfare le loro curiosità, mi ha chiesto: "E la 'K', invece, che significa?"

Alcuni colleghi non li capisco. Veramente.

Il primo giorno di lezione ho provato a chiedere in questa stessa classe a quanti piacesse l'inglese (lo faccio sempre nelle seconde e nelle terze per sondare il livello di motivazione generale e capire quanto dovrò impegnarmi per abbattere gli eventuali filtri emotivi presenti). 
Nessuno ha alzato la mano. Si guardavano tra loro con lo sguardo tra l'imbarazzato e il divertito.
'Azz!, ho pensato. Qui c'è da rimboccarsi le maniche forte. 

Non è una cosa che mi scoraggi particolarmente. Mi ci sono abituata. A lottare contro la demotivazione. La lotta suprema dell'insegnante. Dare un senso a quello che facciamo insieme in classe. Dare un senso a loro, prima di tutto. Se ha un senso per loro, allora ha un senso anche per me. 
Dalla mia, ho la passione sincera per la disciplina che insegno e per il lavoro che svolgo. A volte non è sufficiente. Ma io parto sempre convintissima. Ce la farò. Ce la faremo.

L'altro giorno un mio amico ha condiviso un video della serie dei TED Talks su facebook. Benjamin Zander (un famoso direttore d'orchestra) parla di musica classica. Quello che dice è meraviglioso e si può applicare a qualsiasi aspetto della nostra vita, non solo alla musica.
Ad un certo punto, Zander dichiara che, alla fine del suo intervento, tutti quelli che lo stanno ascoltando apprezzeranno la musica classica, compresi anche quelli convinti di essere negati per la musica o convinti di non capire quella classica.
Poi commenta:
Now, you notice that there is not the slightest doubt in my mind that this is going to work if you look at my face, right? It's one of the characteristics of a leader that he not doubt for one moment the capacity of the people he's leading to realize whatever he's dreaming. Imagine if Martin Luther King had said, "I have a dream. Of course, I'm not sure they'll be up to it."
[Avrete notato che il mio viso non tradisce il minimo dubbio a proposito del fatto che questa cosa funzionerà, giusto? E' una delle caratteristiche di un leader il non dubitare neanche per un momento della capacità di coloro che sta guidando di realizzare qualunque cosa stia sognando. Immaginate se Martin Luther King avesse detto, "Io ho un sogno. Ovviamente non sono sicuro che saremo in grado di farlo diventare realtà."]
Credo funzioni allo stesso modo con l'insegnamento. L'insegnante non può avere dubbi a proposito del fatto che i suoi studenti riescano. Deve credere in loro, prima di loro. E non arrendersi mai. Fino alla fine. È sfiancate e spesso anche frustrante ma io credo che non si possa prescindere da questo assunto. Se ci arrendiamo noi per primi, se non crediamo veramente nei nostri ragazzi e nelle loro possibilità, che ci stiamo a fare in classe?

E poi c'è quest'altra cosa che dice Benjamin Zander e che mi ha fatto venire le lacrime agli occhi per la bellezza autentica di quello che significa.
I realized my job was to awaken possibility in other people. And of course, I wanted to know whether I was doing that. And you know how you find out? You look at their eyes. If their eyes are shining, you know you're doing it. (...) If the eyes are not shining, you get to ask a question. And this is the question: who am I being, that my players' eyes are not shining? (...) That's a totally different world.
[Ho capito che il mio lavoro consisteva nello risvegliare possibilità nelle altre persone. E ovviamente volevo sapere se lo stavo facendo. E sapete come scoprirlo? Guardate i loro occhi. Se i loro occhi brillano, sapete che lo state facendo. (...) Se gli occhi non brillano, allora dovete farvi una domanda. E la domanda è questa: chi sono io in questo momento, ché gli occhi dei miei musicisti non brillano? (...) Questo è un mondo completamente diverso.]
Ma perché si accenda una luce negli occhi di chi ci sta seguendo, credo che sia necessario averla già accesa nei nostri, di occhi, una luce.

Credere in quello che stiamo facendo. Essere noi stessi. Essere diversi. Far brillare gli occhi.
E rispondere alle domande che ci vengono poste. 
As simple as that.





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