venerdì 7 dicembre 2012

Della necessità di ritrovare l'equilibrio

Non è un bel periodo. Sono inquieta. E arrabbiata. Chiudo la pagina del mio browser e resto a fissare un attimo la foto sul desktop del mio computer. È una foto che ho scattato l'estate scorsa ma mi sembra tanto tempo fa. 
Il mio viaggio solitario negli States. Il traghetto per Ellis Island. 


Appunti sul mio taccuino. Boston. Niente sembra più essere abbastanza. E tutto sembra finto, privo di sostanza, se non le piccole cose, gli attimi imprevedibili, gli incontri casuali, gli incidenti di percorso. L'uomo che fa taiji nel parco, la donna sconosciuta che mi saluta con un sorriso, i due uomini con un bambino e un passeggino, il ragazzo che canta e suona la chitarra sul ponte, il cigno che cova nel suo nido al bordo del laghetto, il passero che mi si è avvicinato saltellando e si è fermato a guardarmi di traverso, il clic della mia macchina fotografica, il silenzio dentro il quale attraverso il vuoto per arrivare a toccare l'essenza delle cose sull'altra riva del tempo. 

L'ultima notte a Manhattan in cima all'Empire State building. Poggio il viso contro la rete metallica facendo sparire le trame di ferro dalla mia visuale. Oltre, c'è il vuoto. Oltre, c'è la distesa di luci in movimento di New York. Le voci sussurrate dei turisti alle mie spalle sono un'intercapedine sonora che mi isola ancora di più oltre la rete di protezione, nel vuoto notturno sopra la metropoli. Sono sospesa nel nulla. Sono sola ma non mi sento sola. Sono felice. L'equilibrio è nel vuoto, nel silenzio, nell'assenza.

O in una canzone che, stranamente, racchiude l'essenza di quel viaggio. Questa.



Riportatemi là.

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