venerdì 22 agosto 2014

Di Roberta


Sogni dentro sogni, come scatole cinesi, come bambole russe. Sogni incatenati a sogni. Trasformazioni rapide, senza dissolvenze. 

Londra. Metropolitana. Non ricordo quasi niente. Poi Stati Uniti. Forse New York. 
Sono una ragazza nera. Giovanissima. Mi chiamo Cleo, diminutivo di Cleopatra. Sono un'atleta. C'è un ragazzo a cui piaccio moltissimo. Si chiama Cleo pure lui, diminutivo di niente. È alto e muscoloso. Un colosso di ragazzo. Anche lui è un atleta. Per strada c'è gente che gioca, salta, si diverte. Anche noi. A un certo punto lui mi prende teneramente per mano e mi porta in disparte, in una strada tranquilla, dove non c'è nessuno. "Ci siamo allontanati troppo!", gli dico. "Questa non è una bella zona. Potrebbe essere pericoloso." "Di che ti preoccupi?", risponde lui. "Ci sono io qui con te." E comincia a cantare e, cantando, mi rivela che è innamorato di me e che vorrebbe stare con me. Io sorrido, gli butto le braccia al collo e lo bacio. Ci baciamo, insomma. Poi torniamo indietro felici e lui dice che vuole portarmi nella sua casa di campagna. Dice che ci posso andare in macchina con sua nonna (che l'ha tirato su perché i suoi genitori sono entrambi morti quando era piccolo) e che lui ci raggiungerà. 
In macchina, sua nonna diventa bianca. Io la guardo e mi chiedo come sia possibile che abbia un nipote nero.
Arriviamo alla casa in campagna. Siamo ancora in macchina quando la nonnina lancia un grido di stupore. Ha notato qualcosa che non va ma, per quanto io mi guardi attorno, non capisco cosa sia. Dice che devono essere stati dei bambini a rompere (i vasi? il vetro della finestra?). Esco dalla macchina. La nonnina è già entrata in casa. La seguo. Altre esclamazioni di sorpresa e disappunto dall'interno della casa. Entro anch'io e sono io, con il mio corpo e la mia faccia, non più Cleo. La nonnina è in cucina con la mia amica P. In cucina c'è un gran disordine. Anche nella sala da pranzo all'ingresso ci sono dei cocci. "I bambini devono essere entrati!", dice la nonna. 
Per terra, ci sono le impronte di piccoli piedi. Un solo paio. P. ha deciso di usare le sue conoscenze scientifiche per rilevare l'impronta del piede e risalire al suo proprietario. "Lo troveremo!", dice.
Io mi accovaccio davanti alla porta d'ingresso. Osservo l'impronta e capisco. "Non c'è bisogno di andarlo a cercare." Poi chiamo a gran voce: "Bambino! Vieni fuori! Lo sappiamo che sei lì. Esci!" 
E un bambino dell'età di circa otto anni, tutto nudo e con i capelli rasati, esce di corsa da una stanza, cercando di guadagnare l'uscita. Ma io sono accovacciata lì apposta e lo blocco, prendendolo tra le braccia. Lui si divincola. "Ssssh! È tutto a posto.", gli dico cercando di calmarlo. "Sei al sicuro con noi." E mentre l'accarezzo e l'abbraccio, il bambino diventa una bambina con i capelli chiari e lunghissimi tutti arruffati. Il suo corpicino nudo è sporco di sabbia e profuma di mare. 
Quando si è calmata, le chiedo come si chiama. "Roberta.", mi risponde. Le scopro il viso nascosto dai capelli disordinati. È bellissima. Le altre (la nonna e mia sorella - P. non c'è più) dicono che bisognerebbe lavarla e vestirla. Roberta s'innervosisce un'altra volta ma si calma subito quando stabiliamo che sarò io a farlo. 
Prendo un telo di spugna morbido e vado nel bagno della casa, portando Roberta in braccio. La bambina si tiene stretta al mio collo. Il bagno della casa è pulitissimo ma antico. C'è un grande lavandino in pietra e nessuna doccia. Dalla finestra entra una bellissima luce dorata. I colori nel bagno sono chiari, pastellati. Mi ricordo che al piano di sotto, nella zona nuova della casa, c'è una doccia. Potrei andare lì. Invece decido di restare nel vecchio bagno, far sedere Roberta nel grande piano di pietra del lavandino e lavarla, versandole addosso acqua calda con l'aiuto di una brocca. Resteremo lì, nella quiete dorata di quella stanza fuori dal tempo, faremo le cose con lentezza e dolcezza e lei mi racconterà tutto. "Allora, cosa t'è successo? Da dove vieni? Racconta..."

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