venerdì 2 dicembre 2011

Sarti

In treno Eligio cuce. Cuce la fodera interna di una giacca da uomo. Lo osservo affascinata e mi torna in mente mia nonna. Era sarta anche lei. Da bambina, mi piaceva starla a guardare mentre cuciva. Per tagliare la stoffa usava un lungo bastone piatto di legno con una delle due punte un po' bruciacchiata e un paio di forbicione pesanti di metallo scuro. Aveva anche una vecchia macchina da cucire Singer. La teneva sotto la finestra della sala da pranzo. Quando non l'usava, e se il filo da cucito non era infilato, mi ci mettevo a giocare. Mi divertiva pestare il piede sul pedale e far girare con la mano la ruota che fa muovere l'ago. Mi piaceva il suono che faceva, ratatatatatatatà!
Le mie zie e mio padre - gli abiti sono opera di mia nonna.
Mia nonna cuciva anche per me e per mia sorella. Quando mi prendeva le misure con il suo metro da sarto erano attimi di completa beatitudine: il tocco leggero delle sue mani che facevano scorrere il nastro giallo e azzurro sul mio corpo, il silenzio della sala da pranzo, i numeri che scribacchiava su un pezzo di carta, il tic toc dell'orologio poggiato su una mensola, gli scricchiolii domestici... Volevo sorridere e dormire e osservare tutto allo stesso tempo. Volevo che durasse a lungo. Invece finiva sempre troppo presto e, soprattutto, dovevo aspettare di crescere un altro po' perché il rituale si ripetesse. 
Mi piaceva starla a guardare, mia nonna. Oggi mi piacerebbe di più.

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