venerdì 18 novembre 2011

Un'altra possibilità

Mi avevano promesso che non si sarebbero distratti, che non avrebbero disturbato la lezione se li avessi lasciati sedere vicini. Ero convinta che non ci sarebbero riusciti ma ho voluto dar loro, comunque, una possibilità. La possibilità di smentirmi, di dimostrarmi che sanno essere responsabili, che non sono più dei bambini. 
L'hanno sprecata, come accade quasi sempre in questi casi. Hanno cominciato a chiacchierare e ridacchiare dietro i leggii azzurri che la scuola ha dato loro in dotazione. Per la postura corretta, è la motivazione. In realtà, i ragazzi sono così impegnati a nascondersi dietro quello scudo plastificato, contorcendosi in posizioni assurde, che trovo che fosse sinceramente meglio prima. Per non parlare del fatto che i banchi sono troppo piccoli per contenere leggio e materiale didattico e, prima o poi, qualcosa finisce per cadere a terra con gran fracasso, mandando in frantumi il sempre precario stato di concentrazione della classe.
Comunque, i due ragazzetti hanno cominciato a ridacchiare complici. Piano, all'inizio; una volta ogni tanto. 
Non appena incrociavano il mio sguardo di disapprovazione, smettevano e tornavano seri. Poi, in un momento in cui l'attenzione generale si era un po' allentata, li ho visti ridere liberamente. Non si erano nemmeno accorti che mi ero messa in piedi e che li stavo fissando severa. 
E, all'improvviso, mentre stavo per alzare la voce e rimproverarli, mi sono ritrovata con la mente e le emozioni dall'altro lato della cattedra; mi sono risentita ragazzina dietro i banchi di scuola. Ho provato come un fremito di allegria. M'è venuta voglia di ridere insieme a loro, di scomparire in un groviglio di sguardi d'intesa e di battute stupide. Mi sono sentita stranamente leggera e ho contenuto un sorriso. 
Poi mi sono riseduta dietro la cattedra senza dire niente.

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