lunedì 7 novembre 2011

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Ritorno.
So già che sarà diversa. Cambia in fretta, lei. Ma, in fondo, la riconoscerò sempre per quella che è: l'unico posto dove tornerei a vivere; l'unico luogo, oltre a quello in cui sono nata, dove, finora, sono riuscita a sentirmi a casa; l'unica città che mi ha fatto dimenticare il mio anelito costante all'altrove.
Il tragitto in metro da Heathrow al centro è una zaffata di ricordi disordinati: i rientri solitari dalle vacanze, il percorso eccitato per andare a prendere qualcuno e quello triste e umido dopo gli addii, il ragazzo che avevo notato durante uno di quei rientri e che rividi casualmente in un organic food shop diversi giorni dopo, gli odori, il suono della lingua, lo scenario oltre i finestrini sporchi quando il treno riemerge in superficie, i colori macchiati di grigio, le razze di mezzo mondo in un vagone della metropolitana. Ed è come essere stata via solo per pochi giorni. Ogni volta così.

Le giornate scorrono via veloci tra le strade piene di vita e di richiami. 
E' come se...
C'è una porta. Al di là della porta c'è questa massa enorme ed informe che cerca di passarci attraverso ma la porta è troppo stretta e la massa resta intrappolata nella cornice della porta. Si agita, ribolle, si gonfia sempre più e non riesce a passare mai. Ecco. Le sensazioni si sono accumulate come una massa informe dietro gli occhi, in fondo alla gola, sotto la pelle. Blood makes noise canta Suzanne Vega e la tranquillità della superficie è solo dovuta all'incapacità di esprimere il tumulto. 
A tratti mi perdo dietro l'obiettivo della mia macchina fotografica. M'incantano l'imperscrutabilità delle vite estranee che mi passano accanto, la casuale e momentanea sovrapposizione di geometrie urbane, la varietà di scenari che si susseguono senza fine. Dimentico il tempo che scorre, dimentico la mia presenza fisica per inseguire un richiamo del sangue. 
Poi ritorno.
Ritorno di qua.
E non vorrei.


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