venerdì 4 aprile 2014

Di una volta che ero la Madonna

Nel senso che interpretavo la parte della Madonna in una rappresentazione teatrale alle elementari. 
Non ricordo l'occasione. Si trattava, però, con ogni probabilità, di una ricorrenza religiosa perché i personaggi erano tutti biblici. Forse era il periodo di Pasqua.
La rappresentazione si tenne nella Chiesa della Madonna della Greca. 
Davanti all'altare era stato montato un piccolo palco. 
Gli attori (io e i miei compagni delle elementari scelti per la recita) avremmo atteso il nostro turno per apparire sul palco nelle piccole navate laterali. Ci saremmo succeduti, uno dopo l'altro, in un ordine preciso e solo in alcune scene ci sarebbero stati più personaggi insieme sul palco. Forse nel finale. Non ricordo più bene. 
I nostri costumi erano arrangiati. Io indossavo una tunica beige realizzata con il tessuto usato per le fodere e un'altra tunica rosso scuro, con il buco per farci passare la testa un po' più stretto, bloccata sulla fronte a mo' di velo.
Avevamo fatto le prove nel pomeriggio. 
Poi arrivò la sera. 
Io ero terribilmente emozionata. Ero la prima a comparire sul palco dopo la presentazione del nostro maestro.
Mentre il maestro parlava, ripetevo mentalmente la mia parte. In quel momento, le luci nella chiesa erano tutte accese. Il maestro parlava ad un microfono posizionato ai piedi del palco, davanti alla pedana dove si sarebbe svolta la rappresentazione. Io non lo vedevo. Non vedevo il pubblico. 
Poi il maestro terminò di parlare. Toccava a me. Sbucai sul palco nello stesso momento in cui spensero tutte le luci, ad eccezione di un faro che illuminava il palco. 
Le sagome della gente seduta in silenzio e al buio che aspettava mi fece salire il cuore in gola. Quanti erano? Esitai un attimo. Vidi il microfono. Pensai di dover parlare da lì. Come mi avrebbero sentito, se no, tutte quelle persone? Mi avvicinai al bordo del palco e scesi per raggiungere il microfono, senza far caso al fatto che quella zona, quella dove si trovava il microfono, fosse al buio. Però la mia tunica era troppo stretta e il movimento fu goffo, incerto. Sentii un leggero strappo al tessuto. Senza scompormi, raggiunsi il microfono e cominciai a declamare la mia parte con convinzione. Peccato che il microfono fosse spento. 
Forse me lo sono solo immaginato ma, da qualche parte, ho sentito il mio maestro ridacchiare. O forse era qualcuno tra il pubblico che ridacchiava.
Ok, avevo sbagliato. Non dovevo scendere dal palco e non dovevo usare il microfono. Ma non mi persi d'animo. Le prime file del pubblico erano a due passi da me. Mi fissavano. Alzai la voce e terminai la mia parte con determinazione. Poi mi girai con molta dignità e, tirando su la tunica, risalii sul palco e mi dileguai nella piccola navata laterale. 
Sipario.


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