giovedì 17 agosto 2017

Del leggere



Ho comprato il libro On Reading di André Kertész. Un libro fotografico nel quale l'autore ungherese celebra l'arte solitaria del leggere. Pubblicato nel 1971, raccoglie immagini scattate tra il 1915 e il 1970. Il 1915 era un secolo fa. Nel 1971 sono nata io. E, infatti, le foto contenute nel libro raccontano di un altro mondo. Un mondo del quale io ho avuto solo un piccolo assaggio nei primi anni della mia vita. Poi ha cominciato a cambiare, quel mondo. Rapidamente, sempre più rapidamente. Così rapidamente che ormai si è sempre in ritardo su tutto. E noi, affannati, gli corriamo dietro.
Le immagini di Kertész, invece, raccontano dei tempi dilatati del leggere; raccontano di pause e silenzi; di spazi interiori dove la fretta, l'impellenza, le pressioni di fuori scompaiono. Scompare il rumore, scompaiono le folle.
Venice. September 10, 1963
Era anche un altro tempo, sicuramente. Un tempo per il quale, però, provo un'istintiva nostalgia. Nonostante le atrocità che hanno avuto luogo nel secolo scorso, nonostante le ingiustizie e le brutture di cui è stato testimone quel tempo, c'era anche una bellezza autentica (nei gesti, nei volti, nei modi) che oggi faccio fatica a ritrovare. 
A pagina 23 c'è l'immagine di un uomo, per strada a Venezia, seduto su una scalinata, il soprabito sotto il sedere, intento a leggere. Un gatto sonnecchia accoccolato non distante dall'uomo che legge. Ho sorriso quando mi sono trovata la foto davanti. Ho sorriso istintivamente. Ho provato un'istantanea serenità e poi il desiderio intenso di essere lì, su quella scalinata, con il gatto e il libro e la strada deserta. Un respiro profondo di sollievo.
L'autenticità è la chiave di volta. Gli scatti di Kertész sono pieni di poesia ma è una poesia autentica, non ricercata, simulata, posticcia. 
Forse oggi risento troppo di questo tempo sempre più caotico, frettoloso e volgare. La cafoneria e l'apparenza vuota dilagano. Io mi sento fuori posto ché non ho voglia di fingere di essere felice e di divertirmi a più non posso. E non ho nemmeno voglia di sgomitare per farmi spazio tra la folla. Piuttosto mi ritiro in un angolo e faccio silenzio. Prendo un libro e, attraverso le sue pagine, vado dove mi piacerebbe essere. Vado altrove. Nel mio altrove. Perché, quando i riflettori si spegneranno, quando il chiasso diventerà una flebile eco e avrà ceduto spazio al silenzio e al vuoto, io, almeno, avrò ancora un posto dove andare.


Hospice de Beaune, France, 1929

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